martedì 1 aprile 2014

"Teoria e Pratica del Mandala" di Giuseppe Tucci **



...La rappresentazione dei cicli divini sotto forma di mandala non è l'effetto di un'arbitraria costruzione, ma il riflesso in appropriati paradigmi, di intuizioni personali; per virtù quasi nativa lo spirito umano traduce visibilmente l'eterno contrasto fra la luminosità essenziale della sua coscienza e le forze che la occultano  e di questo processo  acquista consapevolezza.
Quando per esempio troviamo nelle pagine del Bardo riferimento al loto divino, o nello Yoga descritte le divinità evocate ed esse agire sul mistico fiore  nel centro del cuore, nell'un caso e nell'altro non si tratta di semplici riflessi dello schema mandalico iconograficamente elaborato dalle scuole...è piuttosto accaduto proprio il contrario.




Queste visioni e fulgurazioni si dispongono per una misteriosa necessità intrinseca nello spirito umano, come è merito dello Jung di aver per la prima volta riconosciuto, in quella determinata forma a raggera, a fiore, a schemi rotondi e quadranhgolari intorno a una sorgente luminosa centrale; la introspezione scoprendola e riflettendo su di esse ha, in seguito, fissato in paradigmi certi il modello, determinandone le regole, ha classificato con la sottigliezza, propria delle scuole teologiche, le misure e i colori cercando di costringere la spontaneità di quelle immagini entro limiti certi: il Mandala così nato da un interiore impulso diventava a sua volta sussidio di meditazione, strumento esterno per suscitare e stimolare nel raccoglimento, quelle visioni. Le intuizioni, che brillavano prima capricciose e improvvise, sono proiettate fuori del miste, il quale su quelle concentrandosi, ritrova la via per giungere alla sua segreta realtà......



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