lunedì 3 febbraio 2020

La realtà è colorata....






L’universo dei colori si qualifica come fenomeno complesso, in cui si intrecciano aspetti fisici e psichici, magici e scientifici, reali e simbolici. La natura fisica del colore, abitualmente identificata con la sua realtà oggettiva, è soltanto uno di questi aspetti. Gli oggetti sono colorati perché riflettono le radiazioni luminose e il loro particolare colore è dato dalla particolarità con cui esse le riflettono. Ma ciò non esaurisce la realtà del colore. Per essere percepite queste radiazioni hanno bisogno di un organo di senso ( l’occhio) e di un apparato di decodificazione degli stimoli ( i centri ottici del sistema nervoso centrale). Dunque la realtà  cromatica non è solo funzione dell’oggetto percepito, ma anche del soggetto che percepisce.


Di sicuro fino a tempi molto vicini i linguaggi umani sono stati assai poveri  di termini che indicano i colori: l’esempio più di frequente riportato dalla letteratura specialistica è quello della ristretta gamma di cromatismi citati nei poemi omerici, dove i termini che indicano i colori sono assai imprecisi e accolgono entro una stessa denominazione colorazioni che per noi sono nettamente distinte. Per esempio il termine kuàneos indica sia l’azzurro, sia il colore plumbeo del cielo ed in generale ogni colore scuro; glaucos indica l’azzurro chiaro, il cilestrino, il verde, il grigio verde. Quando poi si va ancora più a ritroso nel tempo si scopre che la semantica arcaica è particolarmente povera di termini che indicano i colori, talvolta fino ad indicare solo il semplice binomio“ bianco “ e “ nero”. Quando è presente un terzo termine questo è sempre il rosso, quando poi il linguaggio si arricchisce per indicare un altro distinto colore si tratta a volte del giallo, a volte del verde, e quando ne compare un quinto si tratta sempre del blu. Seguono poi il viola, l’arancione, il marrone, il grigio e gli altri. Queste considerazioni non presentano un interesse unicamente linguistico o letterario, ma anche psicologico.  


Un linguaggio povero di terminologie cromatiche sarebbe dunque testimonianza di una povertà percettiva, mentre un linguaggio particolarmente ricco sarebbe testimonianza di una maggiore ricchezza percettiva. Ciò è come dire che è difficile percepire colori che non sappiamo denominare e che, al contrario, quando si ha una percezione cromatica molto differenziata si ha un linguaggio articolato. Esempi sono dati dalla molteplicità terminologica che gli Esquimesi possiedono per il bianco, oppure dalla varietà dei termini con cui i Maori denominano il rosso e quella con cui gli Indiani delle Pianure indicano la gamma dei verdi.  cont

Nessun commento:

Posta un commento