La nostra percezione visiva del colore è
mutata in profondità da quando ci troviamo, non già circondati, ma immersi nel
mondo nel colore artificiale. Fra i colori naturali e quelli prodotti
dall’industria non esiste continuità, ma differenza, scarto, distanza. La
stessa differenza che separa un fiore di carta, o ancora peggio di plastica da
un fiore piantato nella terra e cresciuto al soffio aperto dei venti.
I
colori industriali sono, nella loro essenza, colori piatti, privi di spessore e
mancanti al loro interno di qualsiasi oscurità.
Sono
colori che non suscitano alcun richiamo ad altre fasce sensoriali, a cominciare
da quelle del tatto. Capovolte sono le qualità che incontriamo invece nei
colori che scorgiamo nella natura: questa ci fornisce un vasto e sontuoso assortimento di colori
densi, profondi e che emanano, pur negli esempi più vivamente luminosi, delle “
ombre” che provengono da di “dentro”. Come accade in un colloquio intimo, e non
già in un chiacchierata corrente, le voci
che vi prendono parte conservano anche una nota di silenzio. In fondo, quando ci troviamo in presenza di
un colore della natura, non ci limitiamo unicamente a guardarlo ma siamo spinti
a toccarlo, a sfiorarlo con la punta delle dita. Dalla vista l’atto della
percezione sconfina nel senso del tatto. I colori artificiali, anziché
sollecitarla, sono portati a bloccare ogni compromissione tattile.
Negli
spettacoli tv che oggi imperano e fanno testo, come lo facevano nel passato una
processione, o una festa cittadina, negli sbriluccicanti varietà televisivi si
sovrappongono flash, balenii provenienti da fitto parco di lampade. Più dei
colori che trattengono l’occhio è uno scintillio rutilante, che arriva ad
offuscare la vista. In questo sfolgorio
dimora l’ambigua ma centrale nota cromatica della nostra epoca.
tratto da : Alberto Boatto - Di tutti i colori
Nessun commento:
Posta un commento