Il termine
Yoga in sanscrito ha molti significati. In senso letterale, che è
etimologicamente affine al latino iugum, al tedesco joch e al nostro giogo,
esso significa “aggiogare” e in traslato, l’impiego di tutte le forze per
tendere al raccoglimento e alla concentrazione dell’attività spirituale su un
punto: ciò significa la contemplazione portata al grado di perfezione
artistica. La stessa parola è pure usata nel senso di “messa in azione”,
“agire”, “prassi” e ancora nel significato di “unione” (per esempio unione
dell’anima con la divinità): è anche adoperata per la “devozione” che produce
quell’unione stessa.
Dato che l’essenza della dottrina yoga consiste in un
sistematico tirocinio del pensiero, si deve far derivare il termine dall’equivalente
indiano di “tensione”, senza dimenticare che anche il significato di “prassi”,
“unione con la divinità e devozione” hanno maggiore o minore importanza a
seconda dei casi, specie in alcune dottrine.
Già nel Rg-Veda si parla di sapienti e di divinità
che avrebbero acquisito delle forze magiche mediante “tapas”, vale a dire
riscaldamento interiore, una specie di profonda e silenziosa incubazione in se
stessi: il canto 10,136 descrive un “Keshin” (asceta dai lunghi capelli) che
nella sua estasi vola per l’aria e, vagando per il sentiero degli esseri e
degli animali celesti, ne osserva tutti gli aspetti…….Nei Brahmana sono
raccomandati la recitazione dei testi sacri , il mormorare delle sacre sillabe
e del mistico suono “OM”, quali mezzi per giungere a conoscenze soprannaturali.
Il Shathapatha (XI, 5,7,1) afferma che colui il quale intraprende per se stesso
la recitazione del Veda raggiunge un allenamento spirituale che lo mette in
condizione di raffrenare i sensi, acquistare la contentezza interiore e accrescere
la conoscenza, senza tener conto della facoltà di dormire ottimamente ed essere
il proprio medico….Si può quindi ben dire che le radici dello Yoga s’affondano
già nel Veda e che le dottrine sulla meditazione dell’epoca classica
rappresentano lo sviluppo, ottenuto attraverso un processo di
spiritualizzazione e di interiorizzazione, delle concezioni enunciate
embrionalmente nei Veda.
….Ma il fatto che si possano riscontrare delle forme
preliminari di Yoga nei Veda non ci autorizza forzatamente a dedurre che si
tratti di un fenomeno specificatamente ario: sarebbe piuttosto da pensare che
siano stati valorizzati degli elementi pre-ari, tant’è vero che si è creduto di
poter riconoscere uno Shiva assorto in meditazione in una rappresentazione di
divinità seduta in una posizione yoga, ritrovata nel bacino dell’indo.
Nelle Upanishad del periodo antico si attribuisce già
un compito importante alla meditazione (dhyana) e si fa pure menzione degli
esercizi respiratori (Brh.1,5,3) e del ritirarsi degli organi nell’atman (
Chand.,8,15) come di mezzi ausiliari per la sua realizzazione. La parola
“Yoga”, invece, non appare che nella Taitt. (2,4), dove si legge: “Lo Yoga è il
Sé stesso (atman) nel Se stesso consistente nella coscienza (vijnanamaya atman)
“ Nelle Upanishad del periodo medio, invece, non solo incontriamo parecchie
volte il termine “Yoga”….Lo Yoga occupa un posto preminente nel Mahabharata. In
numerosi punti esso appare come il corrispondente pratico del Sankhya
teoretico:…se con l’ausilio del sankhya si poteva progredire fino alla conoscenza
dello “Spirito tutto”, con gli esercizi yoga se ne raggiungeva la realizzazione
pratica….
Von Glosenapp
Filosofia indiana
pag 153-4
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