Il Verbo
degli uccelli (in persiano: منطق الطیر, Mantiqu 't-Tayr, 1177) è un poema di circa 4500 versi in
persiano di Farid al-Din 'Attar.
La trama è
la seguente.
Tutti gli uccelli del mondo si radunano per decidere chi sarà il
loro re. L'upupa, che è il più saggio fra loro, li convince ad intraprendere la
ricerca del leggendario Simurgh, un uccello della mitologia persiana che
corrisponde all'incirca alla Fenice della mitologia occidentale.
Si tratta di
un'allegoria, nella quale la ricerca del Simurgh rappresenta la ricerca di Dio,
l'upupa rappresenta un maestro Sufi, e ognuno degli altri uccelli rappresenta
un vizio umano che ostacola il raggiungimento dell'illuminazione spirituale.
All'interno di questa cornice narrativa, costituita dalla storia del viaggio
degli uccelli, Attar inserisce numerosi brevi racconti, sorta di
"parabole" con funzione didattica.
Gli uccelli
devono attraversare sette valli prima di raggiungere il Simurgh: la valle della
ricerca, la valle dell'amore, la valle della conoscenza, la valle del distacco,
la valle dell'unificazione, la valle dello stupore, e infine la valle della
privazione e dell'annientamento. Queste valli simboleggiano le tappe che un
Sufi deve attraversare per attingere la vera natura di Dio.
Quando i
soli trenta uccelli rimasti raggiungono finalmente il luogo dove vive il
Simurgh, tutto ciò che essi vedono è uno specchio in cui scorgono la loro
stessa immagine riflessa. (Questo finale cela un gioco di parole in lingua
persiana fra "Simurgh", il nome dell'uccello mitico, e "si
murgh", che in persiano significa appunto "trenta uccelli"). Ciò
rappresenta la dottrina Sufi secondo cui Dio non è esterno o separato
dall'universo, bensì costituisce la totalità di ciò che esiste; i trenta
uccelli comprendono infine l'identità mistica fra "Simurgh" e la loro
stessa essenza.